Il bello ed il brutto della comunicazione al tempo dei social

 

Salgo in metro e vedo tutti intenti a manovrare sul telefonino, rigidamente smartphone, senza neanche guardarsi intorno: tutti lì soli, ognuno singolarmente connesso con un altro mondo di interessi, di affetti, di amicizie, di attenzioni. Alla fine la malattia ha contagiato pure me: passo la mezz’ora, quasi quotidiana, di metro a rigirare i social, rispondendo, mettendo impressioni, facendo auguri. Cosciente che ho contratto una malattia, tanto da non vedere chi mi stava intorno e fino a non accorgermi che sarebbe stato bene cedere il posto seduto a qualcuno che ne aveva più bisogno (per me una vergogna interiore!), cerco di immunizzarmi rinunciando a questo isolamento tra la gente per passare ad un utilizzo un poco più riservato.

 

La gestione del nostro rapporto con lo smatphone e con i social nella vita quotidiana impone tuttavia qualche riflessione, sulla quale desidero soffermare la mia e la vostra attenzione.
Già qualche tempo fa sono intervenuto, su questa stessa rubrica settimanale di “Quaderni”, di cui ringrazio il Direttore per l’ospitalità nonostante i miei quindici lettori, per mettere in evidenza il rapporto distorto degli amministratori e delle amministrazioni con i social.

 

Ho continuato a seguire con curiosità questo fenomeno e noto che la situazione si va ingarbugliando sempre di più: i social, facebook particolarmente, stanno diventando una piazza sempre più confusionaria, nella quale si fa a chi grida più forte, a chi la spara più grossa, in una confusione di ruoli che ormai sta diventando patologica. Perfino nella comunicazione pubblica sono saltati i ruoli, nonostante qualche disposizione legislativa ci sia per porre argine a questo bailamme. Ma tant’è.
Fuori del campo politico/istituzionale è ancora più evidente lo stato confusionale complessivo.

 

Offese gratuite, prolusioni sguaiate, grida sconclusionate, ragionamenti senza senso, affermazioni lapidarie senza riscontro, commenti brucianti senza approfondimento, equivoci comunicativi, tanto per stare all’aspetto argomentativo.
Ma poi un fraseggio senza senso, paradossi sintattici continui, anacoluti a piè sospinto, apocopi impreviste e iperboli irredimibili, con tutto un contorno di sgrammaticature continue, per cui alla fine resta difficile anche capire il contenuto dei post e delle dissertazioni che si svolgono in tempo reale.

 

Eppure in questa confusione di linguaggi e del linguaggio i messaggi danno subito la misura e lo spessore della persona. Già, perché possiamo usare tutte le più squinternate modalità, o le più raffinate convenzioni comunicative, ma ogni nostra espressione nel contesto dato, ci rivela al mondo per quello che realmente siamo.

 

E allora mi permetto di suggerire di usare più galateo: comunicare con parsimonia, nella maniera corretta e con la giusta pacatezza ci farebbe evitare qualche brutta figura (anche se pure questo pare non importi più a nessuno).