Il Piano per l’inclusione di Rom e Sinti

 

La comunicazione 173/2011 della Commissione Europea in materia di strategia d’inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti si distacca dall’approccio assistenzialista e/o emergenziale per perseguire l’uguaglianza, la parità di trattamento e la titolarità dei diritti fondamentali. La finalità primaria dell’accordo europeo è quello di promuovere la parità di trattamento e l’inclusione economica e sociale, assicurare un miglioramento delle loro condizioni di vita e renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione, la partecipazione al proprio sviluppo sociale, l’esercizio e il pieno godimento dei diritti di cittadinanza garantiti dalla Costituzione Italiana e dalle Convenzioni Internazionali.

 

Il primo passo da fare è quello di abbattere le situazioni particolari di degrado attraverso un percorso programmatico che prevede la sottrazione del fenomeno ad una trattazione puramente emergenziale; organizzare interventi di integrazione di medio e lungo periodo; far diventare l’inclusione dei RSC parte di un processo di maturazione culturale più complesso che interessa l’intera società.

 

Alla luce dei dettami europei la Giunta capitolina, con delibera 117 del 16 dicembre 2016, ha istituito un tavolo cittadino per l’inclusione delle popolazioni RSC in coerenza con la strategia nazionale d’inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti.
Il tavolo si prefigge il fine di programmare e progettare gradualmente la chiusura dei centri di raccolta e dei campi rom presenti sul territorio capitolino, attraverso l’inclusione e le politiche generali sulla povertà, salute, emergenza abitativa, istruzione e formazione/lavoro e pari opportunità.
L’assessore ai servizi sociali, Laura Baldassarre, ha avviato un progetto denominato “Progetto Inclusione Rom” finalizzato, appunto, alla chiusura dei campi stessi.
Lo stesso progetto s’inserisce in un contesto più ampio chiamato #RomaAscoltaRoma, finalizzata alla stesura del Piano Sociale Cittadino. Una campagna capitolina che si articolerà in quindici incontri pubblici a favore dei soggetti più deboli, e si occuperà di povertà, inclusione, questione Rom, politiche educative e scolastiche, violenze, disabilità, dipendenze patologiche, casa, gravi marginalità, minori, famiglie, anziani.

 

Nell’ambito dello stesso progetto, il Campidoglio starebbe elaborando l’idea di istituire un vero e proprio albo riservato a chi rovista nei cassonetti, legalizzando la creazione di una sorta di patentino con la conseguenza che, chi rovisterà, non solo degraderà l’arredo urbano con la fuoriuscita incontrollata dei rifiuti ma, nell’esercizio legittimo dell’azione, otterrà dallo stesso Comune una sorta di riconoscimento senza incorrere in alcuna multa.
Una sorta di nuova occupazione che, nell’illegalità dell’azione stessa e nel mancato riscontro economico delle sanzioni amministrative previste, si inserisce in un contesto interpretativo più ampio secondo il quale la legalizzazione di questo fenomeno si rende necessaria per non sottrarre, alle popolazioni rom, l’unica fonte di sostentamento.

 

In pratica sarebbe una vittoria per le stesse popolazioni che, eludendo gli obblighi pecuniari previsti per le loro infrazioni, andrebbero ottenendo la regolarizzazione di un’attività prima ritenuta illegale.
L’eventuale approvazione genererebbe un nuovo mestiere, quello del “riciclatore”, riservata esclusivamente agli adulti e non circoscritta al popolo nomade ma anche a tutti coloro che, pur risiedendo da molto tempo nella Capitale, non sono riusciti ad inserirsi nel mondo del lavoro.
L’attività del riciclatore consentirà, a chi la esercita, di vendere la merce nei mercatini dell’artigianato, di istituire ditte individuali o cooperative miste di servizi e di accedere al sistema del microcredito, il tutto condizionato al rilascio, da parte dell’amministrazione, del patentino.

 

Una proposta che permetterebbe la sistemazione di circa 7mila nomadi sparsi nei vari campi e che prevede una sorta di preventivo censimento patrimoniale, di progetti di auto recupero per individuare e realizzare soluzioni abitative adeguate.
Un patto che dovrà essere sottoscritto dal Comune e dalle associazioni rom, assecondando così il desiderio di chi aveva espresso la volontà di abbandonare i campi, anche se esiste una realtà contrapposta di coloro che non intendono lasciare i campi e regolarizzare la loro posizione.