Gaia, Camilla e Pietro… l’incoscienza giovanile

 

Se è vero ciò che dalla cronaca viene riportato delle prime indagini, l’incidente di Corso Francia rappresenta un tipico esempio dell’incoscienza giovanile: un ragazzo di 20 anni (Pietro) che come tanti suoi coetanei si mette alla guida dopo aver bevuto, delle ragazze di 16 anni (Gaia e Camilla) che rincasando dalla movida romana attraversano una strada con due carreggiate di tre corsie senza badare ai semafori. Ciò che rende straordinaria questa vicenda è la tragicità dell’evento, ovvero la morte inconsolabile di due adolescenti di 16 anni.

 

Non siamo inquirenti o magistrati e non ci interessa conoscere le dinamiche specifiche della situazione, quello che ci sovviene è invece un quesito più generale: è possibile educare i giovani ad essere prudenti? È possibile eliminare l’incoscienza? Il giovanile entusiasmo con cui si affronta la vita viene nel tempo scemando, lascia il posto ai calcoli, alle considerazioni utili, alle necessità della famiglia. I giovani, di anni e di cuore, sono spesso propensi all’arditezza sognando nuove albe di gloria, mentre i vecchi si attaccano alla loro esistenza, temono il futuro e tremano ad ogni tramonto per il timore che sia l’ultimo.

 

Il vero problema non credo sia quindi l’incoscienza, inevitabile compagna della giovinezza ed elemento necessario per ogni slancio vitale, scriveva infatti Pessoa: “La decadenza è la perdita totale dell’incoscienza; perché l’incoscienza è il fondamento della vita. Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe”. (da “Il libro dell’inquietudine). Le morti troppo “sciocche”, che trasformano in strade della memoria le principali vie delle nostre città – dove possiamo incontrare sul ciglio dei marciapiedi o appesi ai pali o ancora ai lati delle carreggiate, lapidi commemorative, altarini, fiori freschi appena cambiati, fotografie e frasi in ricordo -, come possiamo evitarle?

 

Forse non è possibile eliminare del tutto l’incidente mortale, avviene in strada e nelle mura domestiche, avviene nei modi più impensabili, per banali distrazioni o grossolani errori, avviene perché la morte appartiene al nostro orizzonte esistenziale e non potrebbe essere diversamente. Ciò che veramente stride con la tragicità di questi eventi è lo stile di vita giovanile improntato alla ricerca del divertimento, come si può morire per una serata tra amici? Questo è il quesito che ci poniamo e non riusciamo a capacitarci di come lo svago divenga tragedia.

 

Il vero problema è allora che l’incoscienza giovanile ha abbandonato la ricerca dei grandi ideali, dell’impegno nelle lotte sociali e politiche, ha abbandonato ogni suo istinto vitale e ogni sforzo di miglioramento del reale, trasformando la maggior parte dei giovani in disincantati fruitori del divertimento: bar, pub, discoteche, sale da gioco.

 

Il dramma è che spesso dietro questa maschera di euforia si nasconde anche un malcelato istinto autolesionista e autodistruttivo, che porta all’abuso di alcool e stupefacenti, elementi che sicuramente non contribuiscono a ridurre il numero delle morti in strada. Se la morte di un Peppino Impastato, morto appena trentenne, trova nella sua lotta il senso della sua esistenza e la giustificazione al dramma, le troppe morti giovanili – che rappresentano il numero più alto di quei 3.000 morti all’anno per incidente stradale in Italia – ci lasciano nello sconforto dell’insensatezza… La domanda che ci dovremmo quindi infine porre è forse la seguente: possiamo direzionare l’entusiasmo (che spesso sfocia nell’incoscienza) giovanile verso più alte mete?

 

Nell’attesa che si trovi una risposta rivolgo il mio personale invito ai giovani: state attenti ragazzi e preservate la vostra giovanile incoscienza bilanciandola con l’alto valore che dovete dare alla vostra esistenza… un momento di euforia non può valere una messa!