Acqua pubblica sì…ma di tutti?

 

È periodo di crisi idrica e son tornate, puntuali, le polemiche riguardo il gestore del servizio, nel nostro caso ACEA-ATO2, di cui si denunciano inadempienze, mancanza di investimenti, poca trasparenza, eccesso di costi per utente, gestione privatistica improntata alla sola remunerazione del capitale. Basta scorrere Facebook per avere uno spaccato abbastanza sintomatico del ribollir di sentimenti, a volte stravaganti, di denunce e proposte, talvolta purtroppo oltre il limite del buon senso: vogliamo l’acqua pubblica, vogliamo il ritorno al Consorzio della Doganella, dobbiamo uscire da ATO/2, ecc.

 

Mi permetto, con questa mia riflessione settimanale, che il Direttore di Quaderni continua a pubblicare nonostante i miei quindici lettori, di affrontare l’argomento con valutazioni e proposte, che mi pongono fuori dal coro, cosciente che probabilmente raccoglierò critiche, perché il mio ragionamento segue un percorso piuttosto articolato e decisamente impegnativo, che rifugge dal populismo di maniera e si ripropone di provocare un dibattito meno superficiale di quello che ho visto e sentito in questa fase.

 

L’acqua è un bene pubblico primario, sottratta alla disponibilità di qualsivoglia privato. L’acqua che Acea ATO/2 distribuisce è perciò, per sua intrinseca natura, pubblica: Acea ATO/2 è il soggetto affidatario della gestione degli impianti che occorrono per la captazione, l’adduzione, la distribuzione, la raccolta e lo smaltimento successivo, per i quali riscuote le relative bollette, calcolate in base a criteri tariffari predeterminati stabiliti dall’Autorità competente.
È di tutta evidenza che queste attività richiedano un impianto imprenditoriale di adeguato livello strutturale, che necessitano perciò di un soggetto capace, per organizzazione, per capacità organizzativa e finanziaria di far fronte ad un servizio di carattere essenziale, con costi ragionevoli a fronte di un’adeguata qualità, garantendo alle Autorità competenti – comuni, regione, organi di controllo – che gli utenti possano godere del servizio in termini di continuità, di sicurezza, di economicità, di trasparenza, di efficienza.

 

Negli anni a cavallo dei due millenni, con l’applicazione della legge di riforma delle acque – la famosa legge Merli – prevalse, dopo un certo dibattito, la convinzione che la migliore soluzione fosse quella di affidare direttamente la gestione alla società del comune di Roma – ACEA – che, per lo scopo, si trasformò in holding e costituì tante società controllate per la gestione dei singoli ambiti territoriali, nel nostro caso ACEA ATO/2. La trasformazione in holding e il successivo processo di privatizzazione della municipalizzata romana hanno in parte tradito le aspettative di quanti, concordando con la decisione di affidamento diretto, avevano sperato in un soggetto, di proprietà pubblica, non solo capace da un punto di vista imprenditoriale, ma anche attento ai problemi sociali che il servizio idrico presuppone. Così purtroppo pare non sia avvenuto…..

 

Ma all’epoca di quella decisione si discusse molto anche della legittimità dell’affidamento diretto, senza gara, a fronte del fatto che non poteva certo considerarsi una gestione in house, dal momento che nessun altro comune, eccetto Roma, era proprietario della società. Per superare questa difficoltà alcuni amministratori comunali proposero di costituire ACEA ATO/2 in una sorta di public company: una società organizzata sul piano imprenditoriale e industriale per svolgere economicamente il servizio, ma nella quale l’assetto proprietario fosse predeterminato in percentuali fisse: ai comuni dell’ambito, tutti i comuni, una quota di indirizzo sufficientemente corposa; all’imprenditoria privata una quota maggioritaria, una sorta di golden share, ma non oltre il 45%; agli utenti una quota di controllo capace di consentire una rappresentanza in CDA.

 

All’epoca dei fatti la proposta ebbe poca fortuna. Ma il senno di poi potrebbe condurre a qualche nuova riflessione al riguardo per cambiare i rapporti di forza nella gestione di un servizio, che è sì essenziale e pubblico, quindi soggetto all’indirizzo e controllo della parte pubblica, ma che ha bisogno di un’adeguata organizzazione imprenditoriale.