25 aprile 2020… libertà da reclusi in casa

 

È sicuramente un 25 aprile particolare quello che abbiamo festeggiato nel 2020, la solita festa della Liberazione, caratterizzata da pubbliche commemorazioni e scampagnate si è trasformata in una festa da reclusi, con qualche irrinunciabile versione di “Bella ciao” condivisa dai balconi negli interni condominiali.

 

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in Italia, il 25 aprile ha rappresentato sempre una festa complessa, caratterizzata più dalle contrapposizioni che dalle condivisioni. Contrapposizione tra i ricordi dei pochi vinti e dei molti vincitori, perché in Italia, paese dalle grandi capacità istrioniche, i vincitori, anche quelli più puri e determinati, vengono accerchiati da una marea indistinta di partecipanti; così dopo il 28 ottobre del 1922 si moltiplicarono le attestazioni di benemerenza per i fascisti della prima ora, come dopo il 25 aprile si moltiplicò la schiera degli eroi partigiani. Nel primo e nel secondo caso non mancarono figure di rispetto e patetici partecipanti, come il noto mostro di Firenze, Pietro Pacciani, che poté fregiarsi del titolo di partigiano.

 

In questo 2020 caratterizzato dal covid-19 le diverse esperienze e memorie delle famiglie italiane sembrano finalmente unirsi in una profonda riflessione sul senso più intimo della parola libertà, allora riscopriamo che quelle libertà costituzionali, conquistate da vegliardi ultraottantenni falcidiati in questi giorni dal coronavirus, non sono pietra di tungsteno ma necessitano di una continua lotta, come ricordava il Presidente Pertini nel 1970, parlando alla Camera dei deputati sul valore del 25 aprile: “Per le nuove generazioni, per il loro domani, che è il domani della patria, noi anziani ci stiamo battendo da più di cinquant’anni. Ci siamo battuti e ci battiamo perché i giovani diventino e restino sempre uomini liberi…”.

 

È il senso stesso della parola libertà che siamo oggi chiamati a riscoprire, una società consumistica e frenetica ci aveva abituato alla libertà come possibilità di fare ciò che si vuole… quanto vorremmo in questi giorni uscire a fare una passeggiata e incontrare degli amici; ma l’unica libertà che riscontriamo in questa triste vicenda è la libertà di fare tutto ciò di cui possiamo fare a meno. Chi di fronte alle privazioni del presente non si sconforta in inutili lamenti puerili, chi nella prigione più dura ha la capacità di dire ciò che scrisse Seneca alla madre Elvia: “è l’animo che ci fa ricchi. Esso ci segue nell’esilio e nella solitudine più desolata…”, questi avrà la capacità di riscoprire la sede profonda di ogni libertà, che è “in interiore homine”, come possibilità inesplorata e sfida da rinnovarsi, come tensione verso l’avvenire e opera funambolica… come una corda tesa “tra la scimmia e l’oltreuomo”.

 

Ritornando alla Storia, quel 25 aprile del 1945 fu veramente un giorno di liberazione nazionale, come la fine di una partita di rugby impari, dove il risultato è già segnato, alcuni lottavano per scacciare l’occupante tedesco, altri per difendere l’onore di fronte all’ex alleato, tutti attendevano il triplice fischio finale. Alcuni lo fecero in modo composto, altri, nei giorni più bui si lasciarono sopraffare dagli istinti più bestiali, primo tra tutti quell’Alessandro Pavolini, che nonostante non fosse privo di una certa sensibilità culturale si mise a capo delle Brigate Nere, ordinando i più atroci rastrellamenti e massacri di partigiani. A tal proposito ricordo una descrizione di quei brigatisti in camicia nera che nel 2005 mi fece un anziano signore di Gargnano, in uno spensierato viaggio giovanile, passato tra la curiosità culturale e la goliardia dei vent’anni. Ero in viaggio con il caro amico Luca, scomparso prematuramente nel 2009, procedevamo verso Monaco di Baviera e ci fermammo qualche giorno sul Lago di Garda per visitare il Vittoriale degli Italiani, ultima residenza di Gabriele D’Annunzio; avevamo preso alloggio a Gargnano, non lontano da villa Feltrinelli, ultima residenza di Mussolini. Sull’altopiano che domina il lago ci fermammo un giorno a pranzare all’aperto, giunse un anziano signore del luogo che passeggiava e si sedette con noi a fare qualche chiacchiera.

 

Dopo le presentazioni iniziò a spulciare i suoi ricordi, ci raccontò di una anziana signora del paese, già all’epoca deceduta, che da giovane era stata alle dipendenze di D’annunzio ed era solita parlare in paese delle perversioni sessuali del Vate. Poi ci raccontò della guerra e di come i tedeschi fossero più disciplinati degli italiani, ci raccontò dei due gemelli romeni della Wehrmacht, uno che portava sempre il sale di nascosto alla sua famiglia, l’altro che venne sorpreso a fumare in servizio e spedito sul fronte russo. Ci spiegò che le camicie nere erano invece indisciplinate; che rubavano le uova alle galline di Donna Rachele e se ne vantavano in giro; che un giorno trovarono un uomo nei boschi che sovrastano il Lago, lo portarono in paese, tra urla e schiamazzi, gli avevano sottratto dei salumi e si erano cinti il collo con le salsicce trovate nel suo nascondiglio, lo volevano giustiziare nella piazza del paese e continuavano a strattonarlo per la via; fu per quello sventurato provvidenziale l’intervento di Mussolini, che passando in quel frangente intervenne, si rese conto che non si trattava di un partigiano, come sostenuto dai militi delle brigate nere, ma di un pover’uomo che cercava di sopravvivere fino alla fine della guerra dandosi alla macchia… per quel giorno il prigioniero evitò l’esecuzione sulla pubblica piazza.

 

Il 25 aprile fu effettivamente la fine di una guerra complessa e contraddittoria, che chiamava tutti ad una nuova sfida, vincitori e vinti, perché nonostante il vittimismo neanche i vinti furono esclusi dal processo democratico, organizzarono i loro movimenti culturali e politici e sedettero in Parlamento, si scambiarono accuse con i vincitori e a volte condivisero battaglie comuni.

 

Credo che nell’ultimo romanzo di Vittorio Sermonti (classe 1929), “Se avessero”, si possano per intero ritrovare le sensazioni che accompagnarono i giorni della guerra civile e le difficoltà della ricostruzione. Vittorio Sermonti, che fu iscritto al PCI e scrisse per anni sull’Unità, dedica la sua “opera ultima” al frater maximus (FM nel libro), Rutilio Sermonti (classe 1921), fratello maggiore di Vittorio, reduce della Repubblica di Salò (RSI) e tra i fondatori del MSI. Il testo si avvia con Vittorio che immagina cosa sarebbe potuto accadere se tre giovani partigiani entrati con il mitra nel vano d’ingresso del villino al numero 41 di via Domenichino (zona Fiera) di Milano, i primi di maggio 1945 avessero sparato a suo fratello…, da qui inizia un difficile racconto di ricordi che si aggroviglia su sé stesso.

 

Alla fine Vittorio sembra rispondersi che se avessero sparato a suo fratello Rutilio sarebbe cambiata la storia, ma il mondo non se ne sarebbe accorto; mentre se, nel momento in cui stava scrivendo, avesse avuto a portata di mano il numero del fratello lo avrebbe chiamato, per salutarlo, se quel FM, sordo ormai da tempo, fosse stato in grado di sentirlo. A questa lettura lego anche il ricordo personale di un’intervista che molti anni or sono feci per Quaderni Tuscolani a Rutilio Sermonti, sull’origine e gli sviluppi della destra italiana. Dei sui otto fratelli, quattro sorelle e quattro fratelli, si soffermò soprattutto a raccontare di Vittorio, il fratello con cui per molti anni non parlò, a causa delle divergenze politiche. Proprio nei giorni in cui intervistavo Rutilio, Vittorio stava leggendo Dante al Pantheon di Roma e Rutilio mi disse: “se riuscissi a sentire bene lo andrei ad ascoltare, ma con questi” ed indicò i suoi apparecchi acustici.

 

“Se avessero” è uscito nel 2016, anno della morte dell’autore, Vittorio, mentre il frater maximus, Rutilio, è morto nel 2015, non potendo leggere questa opera di riconciliazione con la propria storia familiare che si snoda e incardina nelle vicende nazionali. Questa storia, a suo modo eccezionale, ci restituisce tutta la difficoltà dei rapporti tra concittadini e tra familiari che la guerra ha diviso e l’Italia ha continuato ad ospitare. Una divisione e una diffidenza che spesso è derivata dall’impossibilità di potersi ascoltare… questo 25 aprile è stato invece per tutti un periodo di reclusione e lotta contro un nemico comune, speriamo sia stata l’occasione per ragionare sul senso più profondo della libertà per un nuovo Risorgimento italiano.
viva l’Italia!