Parco Regionale: al territorio così non serve…

 

Nella massima disattenzione, in pieno periodo vacanziero, la Regione Lazio ha inserito, nel collegato alla finanziaria, alcune norme che modificano la Legge regionale 29/97, Legge quadro sulle aree protette (i cosiddetti parchi regionali). Ed ha definitivamente dato il colpo di grazia al rapporto tra enti gestori dei parchi e territori di competenza.

 

Non voglio annoiare nessuno con i tecnicismi legislativi e amministrativi della legge. Desidero analizzare e riportare all’attenzione il rapporto dell’ente parco con il proprio territorio, inteso come insieme di comunità locali, amministrazioni comunali, associazioni imprenditoriali, culturali, sociali, ecc. Prima di entrare nel vivo mi corre l’obbligo di precisare con chiarezza due cose: le questioni che pongo non riguardano i Responsabili di oggi – Commissario e Direttore – cui anzi va riconosciuto uno sforzo collaborativo anche al di là delle loro specifiche competenze di legge; l’analisi e le valutazioni che propongo sono frutto di mia esclusiva riflessione come collaboratore di questo giornale, ispirate sì dalla mia esperienza politico-amministrativa, ma assolutamente libere da condizionamenti politici e da logiche di appartenenza.

 

Il Parco dei Castelli Romani nacque sulla spinta del territorio, grazie alla capacità del comitato promotore di mobilitare l’opinione pubblica dei Castelli Romani, al termine di un vivace dibattito durato quasi dieci anni dalla metà degli anni 70 al 1984. La legge regionale istitutiva, curata nella sua sintesi legislativa dalla Presidente della Commissione Maria Muu Cautela, affidò la gestione del Parco al Consorzio di comuni dei Castelli Romani. Una scelta partecipativa che attivò meccanismi di coinvolgimento dei comuni, che ne sostenevano in parte la spesa, e che aprì una stagione di confronto di alto profilo tra le amministrazioni comunali per il futuro dei Castelli. Esperienza non priva di errori, non esente da difficoltà operative e di indirizzo politico, ma che certamente assicurava al territorio la crescita di una consapevolezza ambientale e di rispetto dello stesso; ma anche un luogo di dibattito per pensare insieme, per cominciare a concepire un comune destino dei Castelli.

 

Poi il Parco è diventato altro….

Un ente regionale, avulso dal territorio, spesso in conflitto con i comuni, con organi nominati dal centro, nel quale i Sindaci hanno sempre meno potestà di intervento, con una dotazione organica elefantiaca di dipendenti regionali, con la missione prevalente di far rispettare vincoli, non sempre comprensibili, invece di promuovere la crescita sostenibile e il progresso integrale nel solco di uno sviluppo ad approccio ecologico.

 

Con tutta la buona volontà dei singoli impegnati nell’ente, che comunque dobbiamo riconoscere, questa situazione non può cambiare se la Regione non cambia approccio nella modalità di pensare i parchi: invece di stringere ancora di più su regole centralistiche, che riportano al centro le nomine, mantengono alte le spese “politiche” improduttive e rendono sempre più conflittuale il rapporto con i comuni, suggerisco al Legislatore Regionale di fidarsi dei comuni.

 

La soluzione ente Parco individuata nel 1997 con la legge regionale 29 non ha risolto nessuno dei problemi che, a detta del proponente assessore Hermanin, voleva curare. A distanza di venti anni il piano di assetto del parco non c’è ancora, come non era riuscito a farlo il consorzio dei comuni nei primi venti; con l’ente regionale ci sono stati più anni di commissariamento che con il consorzio, a palese dimostrazione della patologia disfunzionale insita in quella norma legislativa; il personale del parco è più che decuplicato (con relativi costi), ma gli effetti positivi non sono misurabili in proporzione; i conflitti con le amministrazioni comunali si sono acuiti; i cittadini, che subiscono solo dinieghi, s’interrogano sull’utilità del Parco.

 

In questo quadro i Sindaci, che con le norme di questa estate si sono visti sottrarre quel poco che rimaneva dei loro poteri nell’ente Parco, hanno pensato di cominciare a far sentire la loro voce e, coordinati da Anci Lazio, hanno predisposto una lettera-appello da mandare al Presidente Zingaretti: un’iniziativa importante, che speriamo trovi orecchie attente a livello regionale, per ripensare il ruolo del Parco. Da struttura di occupazione e controllo del territorio, a soggetto di attenzione e di sviluppo; da struttura di promanazione regionale sul territorio, a punto di raccordo delle politiche dei comuni in materia ambientale, urbanistica e di sviluppo turistico; da ente governato dalla politica regionale e dall’ambientalismo di mestiere, a interlocutore privilegiato delle comunità locali per il loro sviluppo sostenibile.